martedì 15 novembre 2016

dipendenze



Quando ho terminato Infinite Jest (della cui esperienza totalizzante di lettura prima o poi dovrò decidermi a scrivere) ho realizzato che la depressione e l'alcolismo si somigliano, sono due facce della stessa dipendenza dell'anima: depresso una volta ti ritrovi depresso per sempre e il bicchiere da cui stare alla larga ce l'hai piantato dentro, fa parte della tua struttura molecolare. Da qui le ricadute, la cronicità del male, la sua imprevedibilità, la paura costante, smisurata, che possa tornare a galla qualcosa che davvero non è mai andato via: l'errore madornale del senso di colpa, del sono in tanti a stare peggio di me, del grido d'aiuto strozzato - la corazza rivolta all'interno dove soffocare, la carne molle esposta fuori, la sofferenza suprema d'un paradosso che nessuno sembra vedere.

Nella depressione come nell'alcolismo non c'è niente d'eroico: non si soffre perché siamo più sensibili, perché il mondo è cattivo e noi siamo buoni; si soffre senza una ragione, come in tutte le malattie dolorose, solo con la vergogna di dirlo ad alta voce, solo con l'impotenza di fronte al dubbio in chi ti vede uscire ogni giorno vestito decentemente, fare colazione al bar e andare al lavoro, come se anche non riuscire a mostrare la propria debolezza finché non si crolla in mille pezzi non fosse una parte stessa dell'affezione, come se la corazza al contrario non fosse costruita apposta per essere percepita soltanto da noi che la indossiamo ogni giorno, come se nel momento in cui ho in assoluto toccato il mio personale fondo non fossi comunque riuscita a piangere fino a svenire e uscire dal bagno con il fondotinta rimesso a nuovo.

La tragicità sta tutta in questo scarto qua, nella spirale della sofferenza che non trovando una via d'uscita cresce fino a diventare tornado e spazzare via tutto. La depressione come l'alcolismo porta alla vergogna di sè, che Wallace racconta così bene: siamo ingranaggi spezzati e ci possiamo mettere una pezza, ripartire, ma non correremo mai alla stessa velocità degli altri e se proviamo a gareggiare sullo stesso terreno il prezzo da pagare sarà altissimo.
Uno dei protagonisti di Infinite Jest dice di sapere che dentro non ha niente, si sente completamente vuoto, eppure fuori si affanna a primeggiare, spreme da se stesso un'energia mentale composta essenzialmente da disperazione e alla fine il collasso psichico sopraggiunge come una benedizione.

La depressione è come l'alcolismo: appena la sottovaluti ci ricaschi subito. Bisogna imparare ad
ascoltarsi, accettare i propri limiti, stare lontani il più possibile dalle persone e dagli ambienti nocivi, prendersi cura dei propri sentimenti, specialmente quelli negativi, lasciandoli emergere, dando loro lo spazio che meritano. E soprattutto accettare che in un mondo di guru della positività e stronzate mindfulness noi resteremo la nota stonata, quelli che per poter assaporare quel grappolo di felicità dovrannno zappare più duramente di tutti gli altri.
Eppure alla fine, come gli alcolisti che non toccano un goccio da anni, potremo dirci orgogliosi d'aver oliato ogni giorno quella vite che non voleva saperne di girare, di non aver ceduto alla facilità della sofferenza, alle sirene dell'avvilimento, di non esserci lasciati scivolare ma aver trovato ogni momento la forza per tenerci dritti in piedi o per lo meno il coraggio di tendere una mano a qualcuno che ci tirasse di nuovo su.
Perché soli, davvero, non possiamo niente.

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